QUEL MATTACCHIONE SENSIBILE DI ROBIN WILLIAMS

di Rosita Sartori (pubblicato su Area3 OTTOBRE 2016)

Cari lettori,
oggi vi parlerò di Robin Williams che è  il mio attore preferito. Robin nasce in America il 21 luglio 1951 da una famiglia agiata. Si diploma al liceo nel 1969 e subito si iscrive alla facoltà di scienze politiche al Claremont Men’s College ma non è quella la sua strada. Infatti lascia presto l’università per iscriversi alla Juilliard, la famosa scuola di recitazione drammatica di New York. Poi  inizia la sua carriera in TV, ma il vero successo arriva nel cinema con il film “Good Morning Vietnam” e la prima nomination all’Oscar, seguita l’anno successivo dalla seconda nomination per il suo ruolo ne “L’attimo fuggente”. Seguiranno altri film e ruoli di successo come Mrs. Doubtfire. La vita privata di Robin non è stata facile, infatti si è sposato più volte, ha avuto problemi di droga, di alcolismo e di depressione durante tutto l’arco della sua vita terminata improvvisamente con il suicidio l’11 agosto 2014 all’età di 63 anni. Sembra che l’attore non solo soffrisse di depressione e fosse vittima dell’alcool, ma che avesse scoperto da breve di avere anche il “Parkinson”e un’altra malattia neurologica degenerativa che comporta demenza e allucinazioni, chiamata “Demenza a corpi di Lewy”. L’idea di parlarvi di Robin è l’occasione per ribadire che la vita vera, quella che ci fa sentire veramente “bene”, non corrisponde nell’avere fama e successo. Non fa parte di questa vita esteriore la dimensione dell’ascolto e della condivisione. Il prendersi cura dell’altro invece, è secondo me l’unico modo di “essere umani”, nel senso di essere portatori di umanità. Mi sento così vicina a Robin Williams perché insieme alla sua ironia, alla sua frizzante comicità e alla sua simpatia sono emerse anche le sue fragilità e la sua melanconica solitudine. Già da ragazzino era un tipo solitario: invece è diventato uno che fa ridere tutti, uno apparentemente “di compagnia”. In realtà forse il suo era solo un ruolo che ha sicuramente coperto grandi fragilità che lo hanno portato a togliersi quella vita che non lo faceva più sentire adeguato e all’altezza della richiesta di performance, aliene da deficit o malattie, del mondo esterno.