INCHIESTA SULLE BARRIERE ARCHITETTONICHE

di Rosita Sartori (pubblicato su Area3 MARZO 2015)

Il Decreto Ministeriale 236/89 all’art. 2 definisce come “barriera architettonica”:
A) gli ostacoli fisici che limitano e impediscano la mobilità dei cittadini, (quindi non solo dei disabili), principalmente e, ovviamente, di tutti coloro che hanno capacità motorie ridotte o nulle; B) gli ostacoli che impediscono l’utilizzo di attrezzature e sevizi, (impianti sportivi, teatri, scuole, ascensori,bagni,ecc.); C) la mancanza di dispositivi tecnici che impediscono ai disabili sensoriali, (ciechi e sordomuti in particolare), l’orientamento e il riconoscimento di luoghi e fonti di pericolo, (per es.: predisposizione di tastiere con numeri in rilievo dei piani per l’ascensore e avvisatori acustici per i semafori , ecc.). Da questa definizione già si intuisce che il concetto di barriera architettonica non è direttamente collegato al mondo della diversabilità e potrebbe essere interpretato soggettivamente dato che ciò che costituisce un impedimento per un individuo può non esserlo per un altro. Da qui la necessità, soprattutto per la normativa attuativa, alla quale si rifanno i progettisti, di individuare dei criteri oggettivi e dei parametri comuni atti a garantire il diritto di movimento e la qualità e la vivibilità degli spazi da costruire. Questi criteri sono stati individuati, sempre dal D.M. 236/89 in : accessibilità, visibilità e adattabilità. Come si trova scritto dunque anche nella Premessa all’Allegato B alla D.G.R. n. 1428 del 06 settembre 2011, il concetto di barriere architettoniche “è l’espressione tangibile del concetto di handicap, ovvero una caratteristica (presenza di un ostacolo o mancanza di un’indicazione) dell’ambiente che impedisca a chiunque di poter entrare in relazione con esso. L’handicap, quindi, è una caratteristica non ascrivibile alla persona, ma è espressione antropologica e sociologica dell’ambiente. La definizione, la concettualizzazione, la simbolizzazione e l’attribuzione di accezione del fenomeno delle barriere architettoniche è allora, così come per ogni altro fenomeno di carattere sociale, un processo derivate da mutamenti sociali, […]” e quindi “ destinato a cambiare”. Ancora nella stessa Premessa alla D.G.R., si trovano le indicazioni per i progettisti e si evidenziano per il loro ben operare due necessità, la prima razionale, la seconda etica, ossia: 1) lo spazio deve rispondere alle esigenze della comunità 2) è “necessario non considerare intangibili gli standard e le indicazioni tecniche fissate”. Questo approccio alla progettazione di spazi e ambienti pubblici e privati, che tende a costruire senza ostacoli e che assicura prodotti e servizi rispondendo ai bisogni del maggior numero di persone possibili, indipendentemente dalla loro diversabilità, età o condizioni psico-fisiche si può definire come “Universal Design”. I classici esempi di barriera architettonica sono: scalini, porte strette, pendenze eccessive, spazi ridotti, parapetti che impediscono la visibilità ad una persona in carrozzina o di bassa statura, i banconi dei bar troppo alti, sentieri di ghiaia o a fondo dissestato, semafori privi di segnalatore acustico o oggetti sporgenti. La mia esperienza diretta mi porta ad evidenziare innumerevoli altre situazioni di ostacolo da cui deriva una privazione del diritto di ogni persona di “vivere gli spazi”. Gli handicap, intesi letteralmente come “ostacoli”, più importanti che generalmente trovo nella mia vita quotidiana sono molteplici. Per iniziare, i servizi igienici di bar, ristoranti e ambienti pubblici in genere, inadeguati per dimensione, per il fatto che non ci si entra con la carrozzina, e per fattezza, per il fatto che se il wc è una “turca” è come se non ci fosse. L’accesso a palazzi, uffici o anche Chiese, privo delle apposite pedane. Per non andare lontano anche nella realtà del mio Comune, Lonigo, l’accesso agli uffici comunali è handicappante dato che per entrare con la carrozzina devo passare obbligatoriamente attraverso l’entrata degli uffici Inps, il che non sarebbe niente, se Comune e Inps avessero però gli stessi orari, cosa che non è. Per fortuna il personale degli uffici e il Sindaco Giuseppe Boschetto stesso, nelle occasioni in cui ho avuto bisogno fuori dall’orario Inps di accedere al comune, hanno fatto di tutto per farmi accedere in modo confortevole. Ma se fosse stata un’altra persona diversamente abile che non conosce gli orari Inps? Oppure, parlando sempre di realtà che conosco bene: per poter accedere all’ascensore che porta alla Sala Convegni, qui a Lonigo, una persona diversamente abile deve aspettare da sola, sotto i Portici, di giorno o di sera, che il suo accompagnatore si rechi all’entrata principale sita nell’altro lato del palazzo (quello che da sulla Piazza) e apra dall’interno la porta per poter accedere all’ascensore. È concepibile che una persona come me, che non può muoversi, rimanga sola, anche solo per due o tre minuti, magari la sera, in un posto molto frequentato ma da persone che non conosco? Chi non è accompagnato, questa cosa deve farsela da solo, se non fosse che all’entrata principale si accede con le scale. Anche l’accesso ad autobus, pullman e treni è tutto un programma: esistono delle pedane per lo più elettriche ma anche manuali per far salire e scendere le carrozzine o persone in difficoltà motorie. Mi è capitato spesso che d’inverno, dopo aver aspettato un mezzo attrezzato, quelli riconoscibili da un’insegna presente sulla parte alta frontalmente (infatti non tutti i mezzi di trasporto pubblico sono a norma), al suo arrivo, al momento di salire, l’autista mi abbia chiesto di aspettare la successiva corsa dichiarando, senza neanche provare ad estrarla, che la pedana non funzionava e alla mia richiesta conseguente di un aiuto fisico per accedere, il conducente mi abbia risposto con queste testuali parole: “no! Non mi spacco la schiena per te, io!” In altri casi, per non perdere tempo a farmi salire, sono stata ignorata e, nella confusione di chi si appresta a salire o scendere, spesso ho aspettato la corsa successiva. La battaglia più significativa che ho personalmente”combattuto e vinto” contro le barriere architettoniche è stata però quella per l’accesso ai treni quando frequentavo l’Università a Padova. Il primo anno (2002) partivo da San Bonifacio (Vr) alla volta di Padova, previa comunicazione all’ufficio assistenza Trenitalia di Verona. Non essendo la stazione abilitata, chiedevo ai passeggeri l’aiuto fisico per farmi salire o scendere. Dopo un anno circa, l’ufficio assistenza di Trenitalia-Venezia mi chiama per comunicarmi che non mi era più consentito di partire dalla stazione di San Bonifacio e che gli uffici preposti non avrebbero più accolto la richiesta quotidiana di prenotazione. Sarei dunque dovuta recarmi per la partenza o a Verona o a Vicenza. A quel punto mi sono chiesta se questo si può definire un servizio e mi sono detta di no. Così ho cominciato a scrivere in Regione e a Trenitalia, sia agli uffici locali che a Roma. Intanto ho continuato a prenotare, via fax e non via telefono, all’ufficio assistenza disabili i miei viaggi per Padova e ho continuato a prendere il treno da San Bonifacio. Questo grazie al fantastico e coraggioso personale della stazione che, malgrado gli ostacoli e i divieti superiori, mi ha sempre fatto partire. Alla stazione di Padova, invece, dove il servizio assistenza c’era, nel momento in cui non potevano più essere considerate le prenotazioni, la reazione è stata diversa: gli ordini perentori da Venezia di negarmi l’assistenza sono stati rispettati alla lettera. Così spesso, il capo treno, quando non chiedevo aiuto ai passeggeri, per farmi salire o scendere, chiamava la polizia ferroviaria che a sua volta chiamava gli addetti all’assistenza. Orgogliosamente posso dire che, dopo qualche anno di ”battaglia quotidiana” contro il mio diritto e quello di altri come me di poter viaggiare in treno dalla stazione più vicina a casa, la stazione di San Bonifacio è diventata “stazione abilitata”. Ricordando questa esperienza mi sento di dire a tutti quelli che incontrano delle difficoltà o degli ostacoli sui propri diritti di cittadino: “non mollate e continuate a lottare per ciò che credete giusto”.