AMBROGIO FOGAR: LA FORZA DI VOLARE ALTO

di Rosita Sartori (pubblicato su Area3 SETTEMBRE 2017)

Cari lettori,
questo mese voglio parlarvi di un personaggio noto, che ora non è più con noi, la cui tenacia e voglia di vivere di fronte all’esperienza dell’immobilità fisica ammiro e sento a me molto vicina. Sto parlando del famoso esploratore Ambrogio Fogar. Egli nacque a Milano il 13 Agosto del 1941 e fin dalla giovinezza dimostrò il suo amore spassionato per l’avventura, i viaggi, l’esplorazione della natura, lo sport estremo che lo ha sempre portato a sfidare se stesso e il limite del suo corpo. Già a diciotto anni infatti compì l’impresa di attraversare le Alpi con gli sci per due volte, si dedicò poi al paracadutismo e, malgrado un importante incidente avuto durante uno dei suoi voli, continuò a coltivare la sua passione “per il cielo” imparando a guidare piccoli aerei acrobatici. Anche il mare lo appassionò grandemente al punto da fargli compiere imprese come l’attraversata in solitario dell’Atlantico del Nord nel 1972, (in parte senza l’uso di timone danneggiatosi durante il viaggio) la regata Città del Capo-Rio de Janeiro nel 1973, il giro del mondo in barca a vela in solitario durato circa un anno (novembre 1973-dicembre 1974), il viaggio per circumnavigare l’Antartide nel 1978, affrontato con un amico giornalista, che tuttavia si concluse con l’affondamento della sua barca “Surprise” nei pressi delle isole Falkland da parte di alcune orche e il viaggio alla deriva in una zattera autogonfiabile per 74 giorni durante i quali lui e il suo amico sopravvissero bevendo acqua piovana e mangiando qualche cormorano ucciso a colpi di remi e le telline che si erano attaccate sul fondo della loro imbarcazione di fortuna. Lo sfortunato viaggio si concluse con il salvataggio da parte di un mercantile greco che passava di là e purtroppo, dopo un po’ di tempo, con la morte di polmonite del suo caro amico e compagno di avventure. Altre poi furono le sue imprese in Alaska e in Groenlandia e poi il deserto con la partecipazione alle corse Parigi-Dakar e ai Rally dei Faraoni. Fu durante il raid Parigi-Pechino che nel 1992 Ambrogio ebbe un tragico incidente che gli procurò l’immobilità assoluta per sempre. Da allora la sua vita cambiò completamente e dopo un legittimo iniziale rifiuto, nel suo corpo pur “imprigionato” dal limite egli seppe scoprire un altro modo di vivere fatto del gustare la grandezza dei piccoli gesti e la potenza dell’immaginazione, della memoria e della mente. Ad Ambrogio Fogar, al suo coraggio e alla sua forza di volontà va il mio ringraziamento per aver incarnato in questa sua “seconda vita” e aver diffuso nelle sue ultime pubblicazioni il messaggio, che è anche il mio, che “anche se apparentemente fermi si vola alto e si deve essere messi nelle condizioni di volare alto!”.